Diabete tipo-1, nuove speranze con l'immunoterapia
Obiettivo la protezione delle cellule beta pancreatiche
"L'immunoterapia non è ancora una cura definitiva, ma rappresenta grande speranza per migliorare l'approccio terapeutico al diabete di tipo 1 e modificarne il decorso, specialmente nelle fasi precoci". Lo chiarisce Raffaella Buzzetti, presidente eletta della Società italiana di diabetologia (Sid), al 30/mo Congresso nazionale Sid in corso a Rimini. Particolare attenzione a trattamenti sperimentali come gli anticorpi monoclonali, tra cui il teplizumab, che possono ritardare l'insorgenza della malattia e rallentare la distruzione autoimmune delle cellule beta pancreatiche, cruciali per la produzione di insulina. Ma anche terapie con cellule T regolatorie, che "cercano di rafforzare le cellule immunitarie che 'regolano' la risposta autoimmune, prevenendo l'attacco alle cellule pancreatiche". Innovativo il potenziale degli inibitori dei checkpoint immunitari come Pd-1 e Ctla-4, che nel cancro stimolano il sistema a combattere le cellule tumorali: l'inibizione, in caso di diabete tipo 1, riduce l'aggressione contro le cellule beta senza compromettere la capacità di protezione da infezioni o tumori. Per prevenire la progressione verso la carenza totale di insulina ci si aspetta una futura ottimizzazione dell'immunomodulazione, mentre è fondamentale la protezione delle cellule beta con terapie per la loro rigenerazione, trapianto di cellule staminali o isole pancreatiche, e terapie geniche contro lo stress infiammatorio e autoimmunitario. "Terapie combinate simultanee, che potrebbero ridurre o eliminare la necessità di insulina, migliorando significativamente la qualità della vita delle persone affette", continua Buzzetti, che delinea i prossimi sviluppi attesi: "Trattamenti più personalizzati grazie alla miglior comprensione dei meccanismi immunitari coinvolti nel diabete di tipo 1", ma anche "miglioramento della sicurezza e dell'efficacia, con il perfezionamento degli attuali trattamenti immunoterapici e la riduzione degli effetti collaterali, mantenendo l'autoimmunità sotto controllo senza compromettere altre funzioni immunitarie essenziali". Infine "terapie di lunga durata, che possano fornire una protezione duratura o addirittura una 'cura funzionale', in cui i pazienti possano mantenere la produzione di insulina senza dipendere da trattamenti quotidiani".
A.Rispoli--PV