Gianni Amelio, 'un film contro l'assuefazione alla guerra'
Borghi, Campo di battaglia mi ha fatto re-innamorare del cinema
(dell'inviata Alessandra Magliaro) "Non un film di guerra ma sulla guerra" dice Gianni Amelio in concorso oggi alla Mostra del cinema di Venezia con Campo di battaglia, in sala dal 5 settembre con 01. Siamo nell'ultimo anno della Prima Guerra, nell'ospedale militare dietro il fronte, guidato dall'ufficiale medico Stefano (Gabriel Montesi), dove si curano alla meglio i sopravvissuti e appena in piedi con le loro gambe si rispediscono al fronte, con particolare durezza quelli che si procurano da soli ferite per tornare a casa. Ma Giulio (Alessandro Borghi), altro ufficiale, compagno di infanzia e di studi di Stefano, biologo, la pensa diversamente e comincia di nascosto una sua personale illegittima pratica per salvare quei poveri cristi. "C'è un'utopia a monte. Questa storia - racconta con passione Amelio -: non è un apologo realistico contro la guerra ma utopistico. Tutto va in una sola direzione: le guerre fanno male, le vittime sono soprattutto innocenti, allora utopisticamente per fermarle meglio che non ci siano più braccia per imbracciare fucili. È un paradosso, certo, ma su cui si fonda la morale del film". Liberamente ispirato a La Sfida di Carlo Patriarca (Beatbestseller), girato tra Veneto e Trentino, sceneggiato da Amelio con Alberto Taraglio, intreccia la storia della comune amica infermiera Anna (Francesca Rosellini) che arriva nell'ospedale militare e capirà che c'è un sabotatore. Ma la Grande Guerra non è l'unico fronte perché in quel 1918 arriva mortale la febbre spagnola. In questo film di guerra senza la guerra Amelio sceglie di non mostrare i morti, "sono usurate queste immagini, ne vediamo troppe, ci sembrano paradossalmente irreali. Tutti i giorni da tutti i fronti, dall'Ucraina, da Gaza e dai gommoni affondati, ci arrivano scene di morti, feriti, bombardamenti e a questa assuefazione terribile io non ci sto. Il cinema ha una forza emotiva data dalla storia non dall'essere un comizio. Io non scrivo a tavolino, non penso all'attualità ma al contrario ho un modo di fare cinema viscerale, di pancia. Sono famoso per portare la mattina al trucco agli attori foglietti con le scene nuove, la sceneggiatura non è statica". È chiaro, fin troppo facile che Campo di battaglia parla una lingua contemporanea. "Dentro la guerra ci siamo già nella realtà di tutti i giorni - dice all'ANSA Amelio - ognuno ha una posizione morale su quello che accade ad esempio in Medio Oriente. Le guerre hanno dentro una idea di potere che ordina un massacro di povera gente, i soldati della Prima Guerra mondiale morivano nei corpo a corpo, oggi è lo stesso. In Campo di battaglia la guerra continua nell'ospedale e smuove i sentimenti di due persone che hanno vissuto insieme sempre come amici e compagni di scuola, ma che di fronte alla guerra reagiscono in modo differente: uno segue il dovere, l'altro si interroga se questo dovere sia necessario o se ci sia invece una soluzione diversa". Alessandro Borghi, dimagrito 12 kg per il film, racconta di "aver scoperto di nuovo l'amore per il cinema" grazie al modo di Amelio di farlo. "È un periodo storico in cui qualche settimana si gira, noi abbiamo fatto una preparazione di più di un anno, un percorso che si è arricchito giorno dopo giorno con la creatività e l'intuizione di Amelio e la fiducia che ha riposto in noi di farci assumere responsabilità condivise. Alla fine di questo lavoro - prosegue Borghi all'ANSA - sono più le domande che le risposte. Non si tratta di dire sono contro la guerra, è una ovvietà, lo siamo tutti, qui si va su una sottilissima linea di scelte etiche, di relatività sul giusto e sbagliato, e io stesso mi metto in discussione, non so ma credo che non mi sarei comportato come il mio personaggio". Aggiunge l'attore che Campo di battaglia non cambia l'idea della guerra: "Ero contro prima, sono contro dopo. Trovo che ci sia una grandissima responsabilità in chi decide di prendere la parola al riguardo, chi offre massime risoluzioni sui social che sono non verità. Spesso mi si rimprovera di non espormi, ma siamo seri, non è che postare la bandiera della Palestina sul mio Instagram faccia finire la guerra". Tornare ad innamorarsi del cinema non è stato facile: "Esco da una serie lunga, complessa, faticosa che mi ha messo di cattivo umore. Eri un quadratino su zoom - dice ricordando la produzione di Supersex per Netflix - uscivi da una riunione in cui in 3 su 60 si erano trovati d'accordo. Per me che vivo nel terrore di non essere capito è dura. Poi è arrivato Amelio e il suo cinema del dialogo a farmi tornare la voglia. Sfuggo in continuazione alle cose già fatte, cerco di proporre qualcosa sempre di diverso se non al pubblico a me stesso". Ha finito Il Prigioniero diretto dal regista premio Oscar cileno Alejandro Amenabar e non ha ancora un altro progetto. Il cinema italiano in che momento è? Borghi è pessimista, "escono film che sono brutti, un tempo incassavano e ora neanche guadagnano più e non si capisce perché li facciamo".
I.Saccomanno--PV